Michele Zaza
Michele Zaza nasce a Molfetta il 7 novembre del 1948. Frequenta l’Istituto d’Arte di Bari e nel 1967 s’iscrive al Corso di Scultura di Marino Marini all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano, dove consegue il diploma nel 1971.
La ricerca di Zaza muove essenzialmente dall’idea che “l’arte non offre possibilità alternative alla condizione umana, ma è al contrario la risultante di questa condizione” e, come tale, si perpetua nel pensiero umano.
Con il ciclo Cristologia, presentato nel 1972 alla Galleria Diagramma/Inga-Pin di Milano, l’artista si preoccupa di “commentare”, mediante un repertorio figurale, la falsa libertà che intercorre fra l’individuo e i diversi poteri.
Nel gennaio del 1973 Zaza dà inizio al ciclo Dissidenza ignota, esposto da Marilena Bonomo a Bari. Nell’opera principale è rappresentata la madre dell’artista che sta per addormentarsi, fra una pistola poggiata su un cumulo di ovatta e una sequenza di immagini della donna in diversi momenti di vita quotidiana.
Nel 1974, lavori intitolati Naufragio euforico e Sisifo ritrovato madre e figlio evidenziano l’aspetto contraddittorio del concetto di libertà sotto forma di un percorso “a senso unico”. Coeva è la sequenza La felicità e il dovere nella ripetizione omologata, opera composta da diciotto fotografie in cui due individui (l’artista e la madre) mimano gli stessi gesti, in una sequenza intervallata dalla presenza del libro e della televisione. In Spazio del verbo essere, invece, gli stessi protagonisti agiscono entro lo spazio di una porta chiusa.
Segue nel 1975 il ciclo delle Mimesi, esposto da Massimo Minini a Brescia e da Annemarie Verna a Zurigo. In lavori del 1974-75, i genitori dell’artista sorreggono un cumulo soffice di materia grigia a forma di tanti lobi, posizionandosi al centro, fra la presenza del pane e quella della pietra, rispettivamente della cultura e della natura. In alcune opere, l’artista compare sospeso a testa in giù, mentre descrive un intero arco di 360 gradi. Esistenza e assenza, tempo e morte, condizione umana e operare artistico sono messi a confronto.
Dal 1976 l’irreale non è in antinomia al reale ma, anzi, costituisce una realtà in divenire, fatta di curiosi paesaggi di terra e ovatta, abitati da piccoli oggetti di carta somiglianti a macchine volanti.
Nella mostra da Ugo Ferranti a Roma, intitolata Anamnesi, i personaggi sembrano agire nella dimensione del sogno, nutrendosi di molliche di pane. Sempre nel 1976, Zaza realizza il ciclo Universo estraneo da Lucio Amelio, a Napoli; e poi Fantasia privata da Yvon Lambert a Parigi. Nel 1978 l’artista realizza opere intitolate Racconto celeste, nelle quali analizza l’incorporeo. Il colore blu della parete cosparsa di stelle-molliche è un cielo che avvolge i volti del padre e della madre. Lo spazio abitativo diviene “spazio celeste”.
Nel 1980, da Leo Castelli a New York, Zaza espone Neo-terrestre, in cui riecheggiano i richiami alla terra “germinatrice”, che feconda sculture dipinte e forme di ovatta. I volti appaiono frontali o in rotazione. Segue nello stesso anno, il ciclo Itinerari.
Nel 1980 Zaza viene invitato alla Biennale di Venezia con una sala personale. L’anno seguente è a Parigi, dove tiene una personale al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris. Nel 1991 espone al Cabinet des estampes du Musée d’Art et d’Histoire di Ginevra, e, nel 1996, a Mosca, presso lo Shchusev Architecture Museum, dove presenta una serie di nuovi lavori ispirati a Hölderlin.
Tra le collettive, nel 1977 e nel 1982 Zaza è invitato a Documenta (Kassel); nel 1975 alla Biennale di Parigi e nel 1977 alla XIV Biennale di San Paolo. Negli anni Ottanta e Novanta partecipa a mostre presso il Centre Pompidou di Parigi, la Nationalgalerie di Berlino, la Hayward Gallery di Londra e la Staatsgalerie di Stoccarda.
Proprio a partire dagli anni Ottanta, Zaza inizia ad inserire nelle sue opere elementi scultorei: un esempio è Paesaggio, in cui appaiono accanto a fotografie delle forme simili a volatili. Significativa è la serie di lavori intitolata Cielo abitato.
Nelle opere fotografiche degli anni Novanta, Zaza opera una trasfigurazione dei volti, attraverso campiture di colore che mettono in evidenza punti focali quali la fronte, il naso, le mani, che sottendono alle funzioni vitali. A partire dal 1996 la frontalità dei volti ritratti in primo piano e i titoli stessi delle opere rimandano alla tradizione delle icone. Il volto è la via di accesso verso universi interiori da esplorare.
Il “viaggiatore” diventa colui che procede in direzione delle proprie origini, in un “ritorno verso se stesso”. Opere quali il Centro del viaggiatore, Cercatemi altrove, Paesaggio segreto e Corpo magico stabiliscono uno scambio fra l’intimità umana e il cosmo, attraverso sculture di cartone e ovatta con cui l’artista trasfigura il proprio corpo avvolto da effetti luminosi. Anche le dimensioni delle opere e la loro articolazione nello spazio espositivo sembrano voler dar vita a una presenza che tende ad occupare tutto lo spazio, un allargamento del sentire in direzione dell’universo.
Quella che escogita Zaza è un’atmosfera carica di simboli, in cui il corpo o il volto si trovano in contatto con uno scenario segreto, elaborato a partire da elementi tratti dal quotidiano (molliche, ovatta, cuscini) e da presenze scultoree archetipiche. Spesso il volto, maschile o femminile, viene dipinto con colori riferiti alla terra e al cielo – il marrone, il blu, il bianco. Esemplari le opere più recenti, da Rivelazione segreta e Corpo segreto (2005) a Paesaggio magico e Orizzonte segreto (2006), a Io sono il paesaggio (2007).
Nell’arte di Zaza la fotografia non è pura “testimonianza” di una realtà oggettiva, ma sempre “creazione” della realtà. Dietro un “cuscino dai segni misteriosi”, l’immagine torna ad essere profetica di un “trapasso” che va dal sogno a un’immaginazione inaspettata, sempre nuova. L’artista, con le mani strette o a coprire il volto, mima gesti magici, schiudendo l’intera visione alle “tracce” di un’esistenza sconosciuta, ovvero al mistero.
Nel 1999 Zaza espone al Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea di Roma, nel 2003 al Musée d’Art Moderne et Contemporain di Ginevra, e nel 2011 al Centro Luigi pecci di Prato. Le sue opere sono presenti in diverse collezioni pubbliche, tra cui: Fondation Emanuel Hoffmann, Öffentliche Kunstsammlung (Basilea); Hamburger Bahnhof-Museum für Gegenwart (Berlino); Walker Art Center (Minneapolis); Centre Georges Pompidou e Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris (Parigi); Staatsgalerie (Stoccarda); Museum of contemporary art (Téhéran); Kunsthaus (Zurigo).