Salvatore Salvemini

Salvatore Salvemini si è spento nella sua natia Molfetta. Quel Salvemini (1925) che con l'indimenticato Luigi Guerricchio (1932) all'inizio degli anni '60, sodali, dopo aver mietuto riconoscimenti alla Quadriennale, rappresentarono qui in Puglia una svolta decisiva per la pittura, per un richiamo energico a quei valori etico-morali che rinnovarono un'epoca. Entrambi reduci di gruppi d'espressione neorealistica: il primo dagli ambienti romani sostenuti da Guttuso, il secondo da "Nuova Corrente" di Firenze. Portavoce convinti di quelle forti tensioni - che attraversando le coscienze - coagulavano le giovani generazioni perché si ritrovassero a discutere il recupero espressivo della nuova realtà meridionale che sopravanzava e ne facessero materia di ricerca civile. Una problematica pregnante di stimoli e apprensioni su di una dimensione esistenziale che spingeva ad ottenere proposte culturali per immagini rappresentative. Una figurazione dove al centro del paesaggio visivo vi era l'uomo e il suo tempo, la sua condizione d'origine contadina ed il suo disagio quotidiano, con tutta una teoria di analisi impegnate a profonde riflessioni, rompendo quella certa visione naturalista che nella tradizione aveva pervaso tutto il primo cinquantennio di un secolo. Breve ed intensa la storia vissuta dai due artisti col Gruppo "Nuova Puglia" a "Il Sagittario" (1965) assieme a Landi, Martiradonna, Nuovo, Prelorenzo, i fratelli Scaringi, Vallarelli. Trascorsero tuttavia undici anni ancora, quando Salvemini maturando altri convincimenti di più vasto respiro, si presentò isolatamente a "Il fante di fiori" con inedite ricerche espressive: una sorta di esorcismo visivo che procedeva per astrazioni. Come tanti labirinti dell' animo, le sue soluzioni grafiche e pittoriche chiaroscurali erano ricondotte in un contesto quasi metafisico, attraverso un’iconografia di memoria che sfiorava il rifiuto alla forma. Studi di "radici", "carcasse" e "relitti" d'indefinite configurazioni, "fossili" e metamorfosi, "reperti vegetali": nodi di un disagio esistenziale, che al meridionalismo sostituiva un messaggio da decodificare, fatto anch'esso di segni e graffi, in un intrico d'interpretazione individuale della natura, o piuttosto traduzione personale e critica che ha continuato ad agitarlo anche in seguito. Quegli smarrimenti e quelle inquietudini che serrano un po' tutti gli artisti - in quanto da sempre precorritori di avventi inconsueti - tentando con le loro immagini di trasmettere le proprie sensazioni, le proprie angosce, le proprie allucinazioni, nel magma di una società in continuo fermento. Dal carattere rigido e schivo, da anni Salvatore aveva preferito il silenzio, insofferente e deluso dai clamori del nonsenso contrabbandato per arte, dividendosi fra l'insegnamento e la ricerca artistica, nella continuità di una incontenibile ispirazione: traccia indelebile e proiezione della propria identità. Fedele alle sue essenzialità intuitive, nel vasto cangiante universo dell'arte, rimarrà per sempre protagonista indiscusso fra le espressioni artistiche contemporanee di cui non si perderà memoria.