Gianluca De Cosmo - Sensazioni - presso il Fashion Art by Arte 54 (unità 58) Fashion District, Molfetta

8 - 28 marzo 2014

 

I due poli della definizione nietzscheana di arte, realismo e irrealtà, osservazione del vero e astrazione, si compenetrano con perizia e creatività nella produzione pittorica
dell’altamurano Gianluca de Cosmo. Affascinato già nel corso dell’infanzia dagli estrosi e
certosini ricami della madre, dopo un primo apprendistato artistico presso Renato Nosek,
de Cosmo si è laureato in pittura a Brera, dov’è stato allievo di Natale Addamiano,
arricchendo di nuova luminosità la sua tavolozza. Freschezza e brillantezza di toni,
unitamente alla lucentezza, oggi ne costituiscono un aspetto costante. È una vena, quella
che connota l’itinerario creativo dell’altamurano, che ripercorre, trasformandola in nuove
forme attraverso un inscindibile connubio di arte e vita, la grande tradizione pittorica
europea, dalla pensosa eleganza di Leonardo al Tiepolo, dal barocco olandese allo
studio sui valori luminosi dell’Impressionismo.
Mossosi da un’ironica e al contempo raffinata indagine su un’icona della civiltà popular,
i jeans, egli ha dedicato peculiare attenzione al femminino mariano, riproducendo,
nell’archetipo della Vergine, l’eterno anelito della donna alla generazione e alla
conservazione della vita. Può decorare il soffitto di un pub come fosse la volta di un
antico palazzo nobiliare del Cinquecento; riprodurre con variazioni la beltà enigmatica
della leonardesca Cecilia Gallerani; riproporre in Adeline e altre figure, con infinite
traformazioni, pose che ammiccano alla Betsabea di Rembrandt, per arrivare alla Diana
al bagno con graziose ninfe di Boucher e, soprattutto, di Vermeer.
È un fenomeno molto interessante quello di Gianluca de Cosmo, artista figlio delle
rivoluzioni del Novecento, soprattutto nella liberazione da atavici tabù, che però si volge
indietro, perché conscio che la tradizione non costituisca solo un fastidioso fardello, da
cui affrancarsi per non mutarsi in statua di sale.
Il paesaggio non sembra rappresentare il suo principale interesse, anche se notevoli
risultano le sue letture psichiche dell’assolato mondo murgiano e i suoi spazi metropolitani,
in cui l’uomo diviene infinitesima pedina di una scacchiera, forse addirittura presenza
fantasmatica, in perenne perpetrazione di un macabro girotondo.
De Cosmo è prevalentemente pittore di figura, che riesce felicissimo nella delineazione
di corpi, che, a loro volta, divengono superifici da arabescare ulteriormente con motivi
floreali, tra cui l’artista predilige l’immarcescibile tòpos della rosa, emblema di beltà e
purezza, ma anche icona del tempus fugiens, da Poliziano a Ronsard.
Il corpo umano è spesso reduplicato o parcellizzato in polittici di grande formato; delicata
l’esplorazione di forme femminee, in figure nude o vestite, emblemi del XXI secolo, come
la giovane meditabonda che alla lettura libresca ha sostituito quella di un notebook. De
Cosmo gioca col non finito e con l’appena abbozzato per conferire non solo realtà alle sue
figure, ma anche un pregevole livello di astrazione e riconcettualizzazione dell’immagine
umana. Il corpo maschile è declinato in un ideale di forza e atletismo.
Talora esso è investito dalla luce estiva e ne è quasi trasfigurato, senza tuttavia perdere i
suoi connotati fortemente materici e sensuosi. L’anatomico può essere appena suggerito
in certi schizzi alla de Pisis, in cui la visione in lontananza sembra evocare piuttosto
che indugiare; in altri casi, masochismo estatico e anelito di purificazione appaiono le
due facce di un vitalismo dal risvolto melanconico. Alcune pose sembrano - pur nella
netta differenza rappresentativa - ricondurre a Bacon, così come alcuni degli scenari
oscuri, anfratti dell’anima, su cui uomini e donne si stagliano, attori di un incessante
ciclo metamorfico, in cui torsi e volti rappresentano nuove tele su cui il tempo modellerà
architetture effimere.
A queste potremmo contrapporre la perennità statuaria del Marte di villa Adriana a Tivoli,
dio dell’inarrestabile guerra, inclusa quella dei sensi, ma anche della rigenerazione
primaverile, e quindi del ciclico perpetrarsi dell’esistenza nella stagione fiorita.
Lo sguardo di Gianluca de Cosmo spazia nei non luoghi del XXI secolo, per delineare con
ironia neopop, ma anche compartecipazione, gli scenari della quotidianità. Un camion
da trasloco; le converse, oggetto del desiderio di una generazione; grigio ciarpame di
bottiglie su cui si innesta la nota di colore di una busta di negozio; scene da una way of
life squillantemente fuori fuoco; interni vagamente hopperiani di donna e uomo a piedi
nudi con lenzuola di bucato; l’euforia depressa di locali, in cui la danza collima quasi con
la pornografia, con maliziosa grazia: sono anche queste le realtà su cui il pittore volge lo
sguardo con levità e candore.
Sguardo che talvolta si fa quasi “miope”, proprio come accade a Daniele Galliano, artista
con cui ci sembra de Cosmo presenti affinità tematico-formali notevoli, pur nelle evidenti
diversità. Se non ne condivide il gusto per gli scenari affollati della “fantasia al potere”
o delle aule di Montecitorio (ma ama invece soffermarsi sui riti cattolici, esaltandone la
teatralità e diluendone i toni, quasi fossero memorie sbiadite di un altrove lontano), egli
è compartecipe della tensione a osservare e trasfigurare il corpo umano, unitamente alla
compresenza di realismo e poetica irrealtà.
Aspetti che si rilevano nelle tele dei bagnanti. De Cosmo sceglie un soggetto di poliedrica
tradizione: dal bagnante di Cezanne ai corpi smaterializzati dal sole di Maurice Denis,
dagli scenari di Seurat alle monumentali beach series del fotografo Massimo Vitali, sino
ai natanti nelle swimming pools di David Hockney, pittore molto ammirato dall’artista
laureato a Brera. Nulla vi è di più mutevole delle acque di una piscina, sottolineava
l’artista che ha ritratto le belle ville californiane, ma, più della fluidità liquida, a de Cosmo
interessa il fantasticante indugiare sulle figure, sperimentando le diverse gamme che, dal
rosso violaceo al rosa chiaro, contrappuntano la partitura dei corpi al sole. E qui è ancora
una volta la luce a fungere da padrona, ad armonizzare la sinfonia di pigre sdraio e di
visi a tratti disindividuati, falene di un mattino d’estate.


Gianni Antonio Palumbo

 

Artisti

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